Un ciclo di cinque incontri fra gli ospiti del centro diurno Le Betulle, malati di Alzheimer, e le due insegnanti della Amici Alzheimer Onlus. Lo Yoga della risata è la migliore terapia: ridere non costa nulla, aumenta le difese immunitarie e sposta l’attenzione del paziente dalla testa al cuore
“Ridendo, l’uomo si sente vivere”, soleva ripetere il filosofo francese Henry-Louis Bergson agli inizi del XX secolo. E nel 1987 il premio Nobel per la medicina, Susumo Tonegawa, in uno dei passaggi centrali del suo discorso alla Konserthuset di Stoccolma sostenne che “chi è musone, triste e depresso non riesce a tenere lontane le malattie”.
Può essere letto anche in questi termini il nuovo progetto “Lo yoga della risata” promosso dall’associazione no-profit Amici Alzheimer Onlus, fondata da Claudia Martucci e attiva da sei anni sul territorio, in collaborazione con la cooperativa sociale Medihospes. Destinatari dell’iniziativa sono undici ospiti con Alzheimer assistiti nel centro diurno “Le Betulle” di Roma.
All’interno della struttura, gestita da Medihospes dal 2014, sono assicurati servizi socio-sanitari a quasi cinquanta persone coinvolte quotidianamente in laboratori creativo-manuali e in attività quali corsi teatrali e musicali, ortoterapia e ginnastica dolce.
Lo Yoga della Risata è un’idea rivoluzionaria di un medico di base indiano, il Dottor Madan Kataria, grazie alla quale si ride senza motivo, senza l’utilizzo di barzellette o battute, senza la visione di film comici. Si ride attraverso degli esercizi di risate, in gruppo, guardandosi negli occhi e tornando un po’ bambini, cioè recuperando entusiasmo e capacità di divertirsi e giocare. Inoltre si recupera l’attenzione alla respirazione, in quanto la risata non è altro che un’espirazione molto profonda e continuata.
Attraverso il gioco, il ballo, alcuni esercizi specifici, gli abbracci, il contatto fisico e lo scambio prolungato di sguardi, le due insegnanti di Yoga della risata puntano a coinvolgere e stimolare gli anziani del centro diurno. “Tramite la voce e il contatto visivo cerchiamo di tirar fuori le loro emozioni”, spiega Maria Nobile, una delle teacher della lezione. E chiosa: “Crediamo fortemente che la risata e la voce siano per loro ispirazione e abbiano un valore immenso”.
“Abbiamo ritenuto fondamentale stabilire una partnership con Medihospes per il lavoro che la cooperativa sociale porta avanti da anni”, sottolinea Claudia Martucci. Che prosegue: “In questo municipio, uno dei più vasti d’Italia, il numero di malati affetti da demenza è in aumento: la possibilità quindi di collaborare con il centro Le Betulle si sta rivelando strategica per aiutare i più deboli”.
Il primo dei cinque appuntamenti previsti ha lasciato tutti soddisfatti, sia gli operatori sia i beneficiari. “La serie di incontri non poteva iniziare in un modo migliore”, prosegue Nobile. “Abbiamo notato grande partecipazione e volontà di socializzazione: la sessione è stata un utile strumento per renderli attivi, presenti hic et nunc”.
Lo Yoga della risata unisce la respirazione – e quindi la meditazione – alla risata, ovvero a un’espirazione più profonda e sonora che apporta più ossigeno a livello corporeo e mentale. “La risata – sottolinea Francesca Pieri, la seconda insegnante dell’iniziativa ideata da Amici Alzheimer Onlus – è una terapia che può affiancare in maniera adeguata il ricorso a farmaci”. “Ridere – aggiunge Claudia Martucci di Amici Alzheimer Onlus – non costa nulla, aumenta le difese immunitarie e abbiamo avuto ottimi riscontri: la risata nei malati di Alzheimer gli fa mantenere un certo equilibrio e, nella maggior parte dei casi, porta anche a evitare la somministrazione forzata di tranquillanti”.
“I malati di Alzheimer – precisa Pieri – perderanno pure la parte cognitiva, ma conserveranno sempre la parte del sentire, del sentimento. Per cui, lavorando su questo aspetto, si può migliorare la loro qualità di vita”.
Alla fine dell’incontro, della durata di un’ora circa, le due teacher hanno notato negli occhi dei malati di Alzheimer tanta presenza e partecipazione. “Questo contatto visivo e fisico, fatto di sguardi e abbracci, ha trasmesso un senso di profonda armonia”, racconta una soddisfatta Maria Nobile. E alle sue parole fa eco l’intervento della collega Pieri: “I normodotati non ti guardano negli occhi, mentre con loro abbiamo passato lunghissimi minuti a fissarci l’un l’altro, a scrutarci”. Perché loro, attraverso lo sguardo, riescono a percepire e a sentire, lasciando del tutto fuori la mente.